Moda etica: cresce l’attenzione verso i bisogni dei lavoratori del fashion system

L’etica è quel “Settore del sistema moda che si propone di dare impulso allo sviluppo sociale e alla sostenibilità ambientale, nel rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro della manodopera impiegata” (Fonte: Treccani).

Il termine “moda etica” è iniziato a circolare a seguito della tragedia di Rana Plaza. Distretto tessile di Dacca in cui, il 24 Aprile del 2013, crollò un palazzo di otto piani. All’interno erano collocate cinque diverse fabbriche di abbigliamento per marchi internazionali. Nel crollo morirono 1.129 persone e rimasero ferite più di 2.500. 

Solo a seguito di questo incidente il mondo ha iniziato a rendersi conto delle terribili condizioni di lavoro umano causate dal frenetico mercato della moda. 

L’impresa di moda etica è caratterizzata da trasparenza: solo attraverso una filiera di produzione chiara è possibile monitorare che non avvengano abusi umani ed ambientali

I principi del Fair Trade, secondo WFTO, dicono infatti che ogni prodotto e progetto deve nascere e svilupparsi secondo una filiera responsabile e trasparente. Deve essere possibile rintracciare ogni passaggio e ogni persona coinvolta. Devono essere esclusi sfruttamento e discriminazione (minorile, di genere, di razza). Devono essere assicurate buone condizioni di lavoro (in sicurezza, in salute e con salari equi). 

I dati dell’industria tessile al momento sono allarmanti

Nella realtà del mondo tessile e dell’abbigliamento si è però ancora molto lontani dai principi del Fair Trade.

Dalle indagini condotte, dal movimento Fashion Revolution, emerge come in Cina, Guandong e Vietnam le giovani donne facciano fino a 150 ore mensili di straordinario. Il 60% di loro non ha un contratto ed il 90% non ha accesso alla previdenza sociale. 

In Bangladesh i lavoratori che realizzano indumenti guadagnano 44 dollari al mese (a fronte di un salario minimo pari a 109 dollari). Si stima siano 7,4 milioni i bambini costretti a lavorare fin da piccoli per contribuire al mantenimento delle proprie famiglie. Divengono, inoltre, spesso vittime di abusi e torture. 

Sempre Fashion Revolution ha stimato nel corso di un’indagine condotta, nel 2020 su 250 marchi di abbigliamento, che solo il 23% di questi abbia intrapreso azioni dirette a garantire trasparenza di filiera. e un salario minimo legale per i propri lavoratori.

Qualcosa sta cambiando per la “moda etica”?

L’impatto sociale del settore moda è caratterizzato quindi da abusi sul lavoro, retribuzioni troppo basse, orari di lavoro eccessivi, straordinari forzati e mancanza di sicurezza.
Negli ultimi anni però l’etica sta prendendo sempre più piede. Sono nati numerosi progetti il cui intento è promuovere approcci al mondo della moda più responsabili e green. 

Uno di questi è il concorso Vogue YOOX Challenge – The Future of Responsible Fashion, di Vogue Italia e YOOX. Ha l’obiettivo di supportare giovani designer, creativi e start-up di tutto il mondo. Attraverso progetti innovativi hanno deciso di investire su un avvicinamento etico e sostenibile alla moda e al design. 

“L’impegno verso la sostenibilità e la responsabilità sociale è oggi un imperativo inderogabile.” Emanuele Farneti, Editor-in-Chief Vogue Italia, L’Uomo e AD Italia.

E noi consumatori cosa possiamo fare per la “moda etica”? 

Il nostro compito è quello di renderci conto che l’acquisto è l’ultimo step nel lungo processo della moda. Coinvolge migliaia di persone invisibili, perciò più sappiamo di loro, più sarà difficile far finta che non esistano. 

Se aumentassimo la consapevolezza e richiedessimo capi realizzati attraverso processi produttivi giusti più imprese indirizzerebbero le loro scelte verso approcci responsabili ed etici. 

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Pubblicato il: 6 Agosto 2021 alle 5:13 pm