
30 Mar Donne e lavoro: la pandemia non risparmia il lavoro femminile
L’impatto del Covid-19 sul lavoro delle donne è sempre più evidente. Si parla di “Shecession”, termine inglese che indica la recessione, lo sconvolgimento sociale ed economico causato dalla pandemia e che riguarda le donne.
Il genere femminile è infatti quello più toccato, sono proprio le donne le più esposte al rischio di contagio data anche la loro prevalente presenza nel settore sanitario-ospedaliero. Sono inoltre le prime a subire gli effetti della chiusura dei servizi essenziali come le scuole. Nella maggior parte dei casi sono le madri a sfruttare i congedi parentali e il lavoro da remoto per potersi occupare dei figli rimasti a casa. Di conseguenza sono le più a rischio di disoccupazione.
I dati in Italia sul lavoro delle donne
Concentrandoci sul tema della disoccupazione, analizziamo quelli che sono dati Istat registrati a Dicembre 2020.
Sulla scia di quello che è stato l’andamento generale dell’anno, a seguito della pandemia da Covid-19, anche nell’ultimo trimestre sempre più lavoratrici donne hanno perso il lavoro. +0,3% (+42mila unità) di inattivi tra 15-24enni e 35-49enni.
Tutti questi numeri, se confrontati con quelli rilevati a dicembre 2019, sono veramente sconfortanti. A distanza di dodici mesi, infatti, il numero delle disoccupate è salito a 312.000 (+2,0% di inattività).
Le cause della recessione
Analizzando il Bilancio di genere finanziario, presentato da Maria Cecilia Guerra Sottosegretaria di Stato al Ministero dell’economia e delle finanze, le motivazioni per cui le donne hanno perso maggiormente il lavoro sono diverse. Partendo da un discorso più generale di disparità, passando per stereotipi e convinzioni e giungendo alla difficile conciliazione tra vita privata e vita professionale.
Nonostante l’Italia abbia fatto progressi eccezionali nell’uguaglianza di genere, rimane comunque ultimo Paese europeo in termini di divari nel dominio del lavoro. Questo avviene sia per partecipazione (tasso di occupazione equivalente a tempo della vita lavorativa) che per condizioni (segregazione settoriale e prospettive lavorative).
Certamente il gender gap è causato dalle convinzioni, radicate negli italiani, e dagli stereotipi su immagini e ruoli di genere (con riferimento al ruolo primario della donna come madre occupata a prendersi cura della casa e della famiglia). Si collega a ciò anche il discorso sulla conciliazione tra vita privata e professionale che, soprattutto in tempi di crisi e pandemia, si rivela essere sempre più complicata.
Nell’ultimo anno, infatti, nonostante le opportunità di smart work e la diminuzione delle ore di lavoro, più di un terzo delle occupate con responsabilità di cura dei figli ha manifestato disagio nella conciliazione vita-lavoro. Sono state sempre più le donne che hanno apportato modifiche al proprio lavoro per far fronte a esigenze familiari.
Come possiamo migliorare le condizioni del lavoro delle donne?
A consigliare alcuni provvedimenti, per abbassare il divario di genere e incrementare la partecipazione delle donne, è il movimento transfemminista Non Una di Meno. Richiede il salario minimo europeo e il reddito di autodeterminazione. Inoltre, la stessa Prof.ssa Guerra propone di potenziare i congedi di paternità e ridistribuire le responsabilità genitoriali. Lo scopo è alleggerire i carichi di cura tradizionalmente gestiti dalla donna. Sarebbe importante stimolare una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro. Dovremmo riuscire ad estirpare convinzioni, radicate nella cultura italiana, sui ruoli. Bisognerebbe attivare una politica di educazione contro le disuguaglianze di genere.
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