Comunità lgbtq+: discriminazioni sul lavoro

Discriminare sul lavoro significa mettere in atto una disparità di trattamento, nei confronti dei dipendenti, sulla base di alcune caratteristiche: la razza, la religione, l’orientamento sessuale, il sesso o l’identità di genere

A seconda dei casi e degli ambiti, le persone nei confronti delle quali vengono attuate discriminazioni sul lavoro si vedono ridurre le possibilità. Tale forma di penalizzazione è illegale nel nostro ordinamento giudiziario e in quello europeo.

Nonostante il lavoro sia “una dimensione fondamentale della vita e dell’identità di tutti/e”, secondo quanto sancito dall’art.1 della Costituzione Italiana, sono molte le persone che si vedono negate la possibilità di usufruire appieno di questo diritto. 

Uno studio recentemente condotto dalla Fundamental Rights Agency dimostra che, in Europa, il 23% delle persone lgbtq+ hanno subito discriminazioni sul lavoro. 

Dati che dimostrano che l’identità, o l’orientamento, sessuali possono avere più valenza delle prestazioni lavorative di un individuo. Questo sconvolge, non poco, se pensiamo a tutte le battaglie condotte nel corso dei decenni fino ad oggi

Per alcuni l’unica soluzione, per non essere soggetti a discriminazioni sul lavoro, è nascondere la propria identità

A lungo andare però questo soffocamento identitario mina sicuramente la performance lavorativa degli interessati. Basti pensare che la paura di far trasparire informazioni personali a colleghi e superiori può compromettere la socialità del singolo. E’ minata anche la sua propensione a far parte di un team. Se molti preferiscono mantenere un profilo basso per preservarsi, altri decidono di fare outing fin da subito.

Le discriminazioni sul lavoro possono manifestarsi in maniera più o meno evidente

Le discriminazioni sono dirette quando un lavoratore è trattato meno favorevolmente di quanto sarebbe trattato un altro in una situazione analoga. Indirette quando una disposizione o un comportamento, apparentemente neutri, pongono l’interessato in una situazione di svantaggio. E se il primo caso in questione è più semplice da attestare, nella seconda ipotesi è più complesso fornirne le prove. Concretamente, lo stigma sociale nei confronti della comunità lgbtq+, può incidere sulla propria carriera portando al blocco della stessa, o al mancato rinnovo di un contratto a tempo determinato. Il cosiddetto “licenziamento discriminatorioè vietato dal nostro ordinamento tramite il decreto legislativo 216/2003, che fa esplicito riferimento alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Se si riesce a dimostrare che il licenziamento è illeggittimo, proprio perché discriminatorio, questo viene considerato nullo e si ha diritto alla tutela reale secondo la norma vigente.

Nelle forme discriminatorie sono inclusi anche il mobbing e le molestie

Parliamo di comportamenti indesiderati, intenzionali o non, che violano la dignità della persona e creano un clima sul posto di lavoro intimidatorio, ostile, e offensivo. Il fenomeno del mobbing racchiude tutte queste condotte, quando sono durature, individuali o collettive. Parliamo di mobbing orizzontale quando viene messo in atto da colleghi/e, e di mobbing verticale quando è attuato da un superiore o dallo stesso datore di lavoro. Le discriminazioni poi si differenziano per intensità, a seconda della soggettività che vanno a colpire. E’ stato messo in evidenza che le donne lesbiche subiscono gli effetti di questo stigma “alla terza”, in quanto donne, in quanto omosessuali, e (se lo sono) in quanto madri. Anche per le persone transgender la situazione non è ottimale, basti pensare ai lunghi tempi previsti per la ri-attribuzione anagrafica. Sono difficilmente compatibili con le dinamiche del mercato del lavoro.

E in Italia?

Il nostro paese è considerato uno dei meno tolleranti in merito alle diversità, anche se la situazione sta riscuotendo un leggero progresso. Grazie alla possibile approvazione di una legge apposita contro l’omotransfobia. La zona geografica però non risulta quasi mai significativa nell’incrocio con le altre variabili. Io sono io Lavoro documenta un panorama abbastanza omogeneo a livello territoriale. Altri sono i fattori determinanti: l’età, l’ambito di inserimento, il tipo di inquadramento professionale, l’ambiente lavorativo complessivo

A complicare il quadro generale è la carenza di forme di sostegno valide ed ufficiali sulle quali poter contare

La rilevazione dei dati statistici è più frequente ed estesa solo da un paio d’anni ad oggi. I provvedimenti che dovrebbero essere messi in atto sono applicati ed efficaci solo in una minoranza dei casi. Quando la discriminazione si manifesta quindi, il soggetto si ritrova spesso a domandarsi su quali forme di tutela può fare realmente affidamento.

Se un individuo ritiene di aver subito una discriminazione a causa del proprio orientamento sessuale o per la sua identità di genere, può rivolgersi ai delegati sindacali o ai sindacati territoriali. Anche gli sportelli contro le discriminazioni, che hanno spesso sede presso le associazioni lgbtq+, svolgono un ruolo centrale e sono fonti di supporto. Nel caso in cui ci si rivolga ad un giudice, si dovranno presentare a quest’ultimo elementi che provino la presenza di una discriminazione. E’ importante quindi denunciare e segnalare, proprio per contrastare la mancanza di dati sul fenomeno.

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Pubblicato il: 4 Marzo 2021 alle 5:58 pm